Lunedì 12 giugno a Pianeta bimbo, la trasmissione che conduco su Telecolor, andrà in onda l’intervista dedicata alla scuola e ai suoi spazi ed in particolare al rapporto tra gli spazi scolastici e il benessere dei bambini. Guardate una piccola anticipazione dell’argomento dal breve intervento fatto dalla psicologa Sara Azzali, a margine della trasmissione. Riporto sotto l’articolo che la dottoressa Azzali ha scritto sullo stesso argomento.
La scuola in senso fisico, i suoi spazi, giocano un ruolo fondamentale nel processo di apprendimento: da un lato delimitano e orientano l’azione, dall’altro vengono interiorizzati ed entrano a far parte dell’esperienza del bambino stesso. Ogni contesto, a seconda della sua organizzazione, può infatti favorire determinate azioni, oppure ostacolarle: le persona hanno un effetto sull’ambiente in cui si muovono, ma anche l’ambiente stesso ha un suo impatto su chi si muove entro i suoi confini. Perciò la struttura architettonica della scuola, con la sua illuminazione, i suoi spazi, gli arredi, materiali, colori, va ad incidere sull’esperienza sia dell’allievo che dell’insegnante che vi lavora.
Al fine di ripensare gli spazi dove i bambini apprendono è fondamentale chiedersi quale idea di insegnamento si sta portando avanti e, ancor prima, che idea si ha del mondo del bambino, del suo modo di imparare. E’ profondamente diverso infatti insegnare pensando al bambino come un soggetto “passivo”, che riceve e assorbe le nozioni insegnate senza incidere su tale apprendimento, oppure se guardare al bambino come un soggetto “attivo”, partecipe nel costruire le sue esperienze.
Gli studi scientifici degli ultimi decenni ci hanno portato a scoprire un bambino attivo fin dalla nascita: se i piccoli sono in grado di contribuire fin dalla tenera età alla costruzione della loro stessa esperienza, questo dato può essere considerato e utilizzato per potenziare e facilitare il loro apprendimento.
Nel concreto, pensando agli arredi e all’organizzazione dello spazio nella scuola primaria vediamo come la scuola nel XX secolo sia stata permeato di un “paradigma dell’insegnamento” inteso come mera trasmissione di nozioni,
paradigma cui sta a monte l’idea di un bambino passivo e semplicemente “ricettivo”: questa cornice ha così favorito lo strutturarsi di un ambiente pensato per lezioni frontali, dove all’insegnante veniva riservata un’area delimitata dalla cattedra di fronte alla quale, in file ordinate, erano disposti i banchi degli alunni, banchi alcuni molto vicini, altri molto lontani da lavagna e insegnante. Recentemente siamo però passati ad un altro tipo di paradigma, ossia quello “dell’apprendimento”, che predilige un coinvolgimento dei bimbi in prima persona e guarda all’insegnante come ad un “facilitatore” dell’apprendimento: di pari passo dovremmo ragionare su quali possono essere i contesti migliori a tale scopo.
Disposizioni a ferro di cavallo, a gruppi, ad isole di lavoro, ad anfiteatro, ecc., vanno infatti a sollecitare altri aspetti della relazione all’interno del gruppo classe, e svariati tipi di apprendimento: non esiste una modalità migliore in assoluto, ma piuttosto è importante definire quale obiettivo ci si sta ponendo e chiedersi qual è il modo migliore atto a perseguirlo. L’utilizzo di arredi a misura di bambino, accattivanti nei colori, nella disposizione, deve trovare anche un compromesso con norme di sicurezza e con i bisogni “fisici” dei bambini tra cui la possibilità di “sentire” bene e “vedere” bene i contenuti illustrati dagli insegnanti, nonché i loro quaderni stessi (penso all’illuminazione), poter assumere una posizione comoda e corretta che riduca al minimo gli stress e permetta un aumento di concentrazione. E’ infatti importante ricordarsi che, sebbene si tenda a pensare l’apprendimento come qualcosa di meramente cognitivo, il soggetto dell’apprendimento non è solo testa ma anche corpo, un corpo che deve potersi muovere adeguatamente e che deve poter “stare bene” in quell’ambiente. A tale proposito, se possibile sarebbe bene considerare l’eventualità di dotarsi di spazi e ambienti differenti a seconda delle attività che vengono svolte.
Spesso infatti ci si dimentica che apprendere non significa solamente imparare la grammatica, le tabelline, ecc. ecc.; ovviamente queste abilità vanno raggiunte e valutate, tuttavia non va sottovalutata l’importanza di altre aree da poter potenziare e su cui lavorare. Mi riferisco per esempio allo sviluppo di un pensiero creativo, alla capacità di stare in relazione, alla costruzione morale, e via dicendo. Questi apprendimenti non sono meno importanti, soprattutto in un mondo dove più che mai nella storia il progresso e i cambiamenti si son estremamente veloci. Apprendere come muoversi all’interno di uno spazio sociale, poter utilizzare un pensiero divergente, e “imparare ad imparare” diventano oggi più che mai strumenti molto potenti, che la scuola può e dovrebbe potenziare fin dalla prima infanzia. Per esempio, se vogliamo lavorare sulle capacità dei bambini di stare insieme, possiamo prediligere contesti che consentano anche semplicemente di guardarsi, di poter dialogare, di poter lavorare insieme su piccoli progetti.
Non va dimenticato inoltre che le diverse aree di sviluppo non si posizionano in “compartimenti stagni”, ma piuttosto stanno “in rete”, una con l’altra: il nostro sistema nervoso è fatto di “connessioni” e un progresso in un campo non resta mai isolato a sé stante, piuttosto ogni esperienza di apprendimento, ogni nuova memoria, entra in comunicazione anche con le altre. Ne deriva che il potenziamento dei vari tipi di apprendimento va a nutrire globalmente la persona.
Un esempio di metodologia di lavoro che consideri il potenziamento di più aree contemporaneamente è quello della peer-education: permettere ai bimbi di lavorare insieme abbinando bambini leggermente più avanti rispetto qualche acquisizione, a bimbi che devono invece ancora fare certi passaggi, consente sia il miglioramento di questi ultimi ma anche un potenziamento di quelli leggermente più competenti, poiché promuove in essi il senso di autoefficacia, di autostima, oltre anche favorire lo sviluppo di relazioni positive.Nell’esempio della peer-education, puntare su attività “gruppali” dovrebbe prevedere spazi che favoriscano l’aggregazione, il confronto.
Sara Azzali, psicologa e psicoterapeuta esperta in età evolutiva
http://WWW.PSICOLOGAAZZALI.IT
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